DUNE ROSSE

DUNE  ROSSE

DUNE ROSSE


Saga appassionante e coinvolgente composta da quattro volumi

DUNE ROSSE - Il Rais dei Kinda
DUNE ROSSE - Fiamme sul Deserto
DUNE ROSSE - Nella tana del cobra
DUNE ROSSE - L'Avvoltoio lasciò il nido (prossimamente)

lunedì 11 agosto 2014

DONNE ed HAREM



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L’arrivo di altre due ragazze, con vassoi di carni fumanti, spense l’imprecazione sulle labbra del giovane.
Erano a viso scoperto e sir Richard le sfiorò fuggevolmente con lo sguardo: guardare in faccia una donna, benché schiava, era una mancanza di rispetto.
Non erano particolarmente belle, ma gli occhi, truccati col kohl, la nera tintura che faceva risaltare il bianco della cornea, brillavano di dolcezza e malizia. Sorrisero, nel deporre al centro della stuoia i vassoi, poi distribuirono ciotole di rame.




Guardandole di sottecchi, il biondo avventuriero si sorprese a pensare che la donna beduina era stata solo sfiorata dalla condizione mortificante in cui si trovava la donna musulmana. Forse perché nel deserto, il ruolo della donna era assai più importante di quello della donna cittadina, considerata un puro oggetto, una proprietà, una cosa da sottrarre alla vista altrui. Forse perché nel deserto era lei il  pilastro della famiglia; era lei il mitico Atlante sulle cui spalle poggiava l'universo familiare. Era lei che faticava con gli animali e come gli animali, mentre l'uomo passava le giornate a bere the o caffè sotto la tenda oppure a vagabondare per il deserto per tutto il giorno. 
Le donne che lui aveva conosciuto in quelle terre avevano solo doveri e nessun diritto. Le sapeva segregate negli harem, che costituivano la forza attraverso cui l’uomo musulmano costruiva la propria potenza. L’harem era il vivaio delle schiere di figli di cui l’uomo aveva bisogno per affermarsi… era l’elemento vincente… Gli era capitato di discuterne, soprattutto sul ruolo della donna, che in quel gioco di potere era un semplice strumento.
 La donna musulmana, pensava il lord, salvo pochi casi, era soloun oggetto appartenente ad un solo  ed unico padrone.





La carne che le due ragazze avevano servito era di montone, arrostita e condita con sale e pepe; sir Richard la trovò deliziosa. Con minor gusto, però, mangiò la carne di uran, la grossa lucertola tanto apprezzata dagli abitanti delle sabbie, di cui lo sceicco gli aveva riservato il pezzo migliore.
"Se avessi tardato ancora a tornare, - esordì Harith, pulendosi le labbra sul dorso della mano - saremmo venuti a Doha."
Le ragazze, intanto, sostituivano i piatti vuoti con altri ripieni.
"L'ora non è ancora arrivata." rispose il suo rais.
"Il Sultano del Qatar può ancora far sonni tranquilli, dunque?" replicò Harith, allungando una mano per prendere un pezzo di carne dal vassoio di portata, il migliore, per porlo nel piatto dell’ospite.
"Il sultano del Qatar non riposa più tranquillo da tempo, ormai! - replicò con voce cupa Rashid - Quell'assassino traditore ed usurpatore ha il tempo contato!"
Sir Richard, che continuava il suo pasto in silenzio,  capì che dietro quelle parole doveva nascondersi un dramma profondo.
Un uomo entrò sotto la tenda e si chinò all’orecchio del suo sceicco.
“Chiedo scusa al mio ospite, ma  urgenti questioni  richiedono la mia presenza.” Harith si alzò e  lasciò la tenda assieme al suo uomo; l’inglese seguì con lo sguardo l’atletica figura del suo ospite e continuò a fissare il lembo che fungeva da entrata anche quando dei due non rimase più nemmeno l’odore tipico del tabacco.

(continua)
brano tratto dal romanzo    -   DUNE ROSSE - Il Rais dei Kinda
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lunedì 4 agosto 2014

LA RIVELAZIONE

Il cavallo di Jasmine correva veloce sulla sabbia che sollevandosi lasciava filtrare la luce sanguigna del tramonto creando un alone che chiudeva il cavallo e la ragazza come in una visione fantastica.
Tesa in avanti, i capelli al vento, le mani aggrappate alla criniera, per un pezzo la principessa mantenne tra sé e il suo inseguitore una certa distanza.
"Allah, non gettarmi  nelle mani dei miei nemici." andava  invocando incitando il cavallo, china sul collo dell’animale.
Non  si voltava mai indietro,forse per non vedere lo spazio che il suo inseguitore stava guadagnando rapidamente. Sentiva, però, il respiro ansante di Dahis, il cavallo di Raschid, farsi sempre più vicino. Anche Rashid incitava Dahis:
"Avanti, Dahis, ancora uno sforzo!”  lo spronava.
Ancora tre metri lo separavano da lei.
“Coraggio, Dahis… uno sforzo ancora…”
Due metri.
“Allah Misericordioso… proteggimi tu…”
Rashid udì l’angoscia infinita di quella voce tanto adorata trasferirsi in lui…
“Fermati, Jasmine… fermati… “ invocò ancora e la voce di lei lo ferì ancora:
“… Oh Allah di misericordia… non gettarmi nelle mani dei miei nemici…” la udì implorare e l’ultimo brandello di raziocinio lo abbandonò e lo fece sprofondare in un lucido delirio:
“Coraggio, Dahis… amico mio fedele… Andiamo incontro alla felicità o all'annientamento. Seguiamo questo miraggio che ci sprofonderà negli abissi o ci condurrà verso la gioia...Io sono pazzo...ma ben venga la follia se porta con sé la felicità"
Raggiunse la ragazza e tese le braccia.
"Fermati.- implorò - Chiunque tu sia, ombra o creatura umana. Fermati, ti prego."
E poiché lei non arrestava la sua corsa e poiché lei lo guardava con occhi pieni di terrore ed orrore, Rashid  cercò di fermare il cavallo di lei senza briglie. Ma inutilmente. Allora si erse sul busto, puntò un ginocchio sulla groppa nuda di Dahis e con un colpo di reni balzò sulla groppa dall'altro cavallo. Una violenta emozione lo prese quando sentì il corpo di lei fra le  braccia:


"Dunque, sei viva? – mormorò con voce strozzata - Non sei un miraggio evocato dalla mia mente tormentata. Allah ha aperto la tua tomba e squarciato la terra sotto la quale io stesso ti ho sepolta."  Piangeva e rideva, sommerso da una felicità che procurava dolore fisico, ma lei gemeva, stretta in quell’abbraccio spasmodico e lui allentò la stretta.
"Sono perduta! Sono perduta!" bisbigliava lei guardandolo con occhi che gli penetravano l’animo.
"Ma perché dici questo, dolce amore mio?" anche il grande predone gemeva.
Lei non rispose, lui fermò il cavallo e balzò a terra, aiutando lei  a fare altrettanto.
"Sono perduta! Sono perduta!" continuava a ripetere Jasmine.
"Tu hai paura di me?- domandò il giovane dolorosamente stupito, accarezzandole i capelli con gesto tenero.-  Non puoi aver paura di me, mio bene infinito... Non puoi aver paura proprio di me che ho destato la pietà di Allah fino ad indurlo ad aprire il sepolcro entro cui io stesso ho seppellito il tuo corpo."
"Non ero io  l'infelice che tu hai sepolto." lo sorprese la voce di lei infine.
"Ma io... io ho scavato la tua tomba...Io… - Rashid sollevò le mani, con gesto di immenso dolore impresso sul volto come una stigmate – Io… con queste mani."
Lei scosse il capo.
"Era un'altra infelice, quella che tu hai seppellito. Ma tu...tu perché mi perseguiti?   Vuoi consegnarmi ai miei nemici?"
"Io consegnarti ai tuoi nemici? Oh, Jasmine! Io ho messo a ferro e fuoco i tuoi nemici credendo di vendicare la tua morte. Come puoi pensare questo?"
"Intorno a me c'è solo inganno." rispose lei con profonda amarezza nella voce.
"Lo so. Lo so che il sultano di Doha ha venduto la sua pupilla per un pugno di gemme." proruppe il giovane avvolgendola con uno sguardo che era un carezza.
"Come posso fidarmi dei nemici se anche gli amici mi hanno ingannata? – cominciò a piangere lei… piano, sommessamente, senza singhiozzi - Come posso fidarmi di te che hai procurato danno e morte alla mia gente?"
"La tua gente? Quale terribile segreto mi nascondi, Jasmine? Chi sei? Perchè dici questo?"
"Io sono la figlia primogenita dello sceicco di Haradh."
"Kaleb ab Abin? – stupì vivamente  Rashidil – Sei la figlia di quel valoroso che perse la vita per l'autonomia della sua tribù? Chi mi incolpa di quel crimine?" domandò.
"Sayed Alì." rispose la principessa.
"Lui! - proruppe il rais -  Lo immaginavo! No, piccola dolce colomba, io ti giuro su ciò che mi è più sacro al mondo, che sono estraneo a quelle scelleratezze.  - spiegò dopo una pausa riempita da sguardi sempre più teneri - Io  conosco i responsabili di quei crimini… Oh, se li conosco!”
“Davvero? - stupì lei, guardandolo con occhi colmi di speranza -  Chi… Chi è stato?”
Jasmine smise di piangere; cercò un fazzolettino per detergersi le lacrime, ma nell’abito maschile in cui era infagottata non ve n’era ed allora Rashid, con gesto di infinita, delicata tenerezza, tese una mano e le asciugò con il suo indice, che poi si portò alle labbra; negli occhi della principessa passò un lampo che per Rashid riuscì perfino ad appannare la luce abbagliante del sole.
“Abud Aziz! E' stato Abud Azid, lo sceicco dei Bakr, a sterminare la tua gente, mio bene infinito!...  Egli mirava  ad   assicurarsi il controllo delle piste carovaniere e Sayed Alì lo ha sostenuto nell'impresa."
"Sayed era amico di mio padre. – di nuovo due lacrime spuntarono nei begli occhi di smeraldo della principessa Jasmine -  Avrebbe ingannato il suo migliore amico e poi venduto la figlia di lui?... Oh! E'  orribile! Ma perché?... Perché lo avrebbe fatto?"
"Per ambizione e sete di potere!"  spiegò il giovane.
"Oh, Rashid. Sayed dice di te che..."
"So quello che Sayed dice del suo nemico.- la interruppe lui - La paura rende tenace il rancore! Sayed ha paura del rais dei Kinda perché sa che deve rendergli conto, un giorno, delle proprie infamie e quel giorno è arrivato. Dovrà pagare per quello che ha fatto alla tua gente ed anche alla mia famiglia."
"Non capisco."
"Tutti mi conoscono come Rashid, rais dei Kinda ed hanno intessuto intorno a questo nome favole e leggende  che dalla realtà sono assai lontano, ma… il mio nome è un altro.. – Jasmine ascoltava con profondo stupore -  Nessuno sa che il mio nome è Rashid bin Hammad. Io sono il figlio naturale del deposto sultano di Doha che Sayed con l'inganno e il favore di Paesi stranieri ha spodestato ed ucciso con la famiglia."
"Oh!..." fu il solo commento della principessa.
"In questo tempo di lotte fratricide che insanguinano le nostre terre da lontane generazioni, non è stato difficile a quell’avvoltoio...  a Sayed Alì,  deporre il legittimo Sultano… - una pausa, per dare tempo alla collera che il solo nome di Sayed procurava al suo cuore, poi il grande predone riprese -  I tempi, ora, sono maturi per nuovi eventi e presto sul trono di Doha tornerà a sedere Tamin bin Hammad,  il legittimo sultano... Ma di lui ti parlerò in un altro momento, mia diletta, ora occorre che si vada a rassicurare gli amici che tu sei viva e reale e non un'apparizione evocata dal mio dolore. Vieni. Andiamo da loro o  crederanno che..."    (continua)

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DUNE ROSSE - Il Rais dei Kinda

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IL PICCOLO AMUD





Un piccolo incidente, una manciata di minuti più tardi, movimentò l'atmosfera: qualcuno aveva rubato a Selima il suo medaglione e la ragazza era fuori di sé; prima pianse ed imprecò, poi, con la schiava Dacia mise a soqquadro la sua tenda, fino  quando non si convinse dell’estraneità della poveretta al furto. Mai la schiava fu più zelante e diligente come in quella occasione: non un solo  millimetro all’interno ed intorno alla tenda rimase inesplorato.  Cercò, infine, l'aiuto delle altre donne del campo.
Una di loro disse di aver visto un ragazzo gironzolare attorno alla tenda, un ragazzo dai modi sospetti e malamente vestito, aggiunse.
“E non lo hai riconosciuto?” domandò la Favorita.
“Era un ragazzo. – la donna si strinse nelle spalle con gesto contrito – Mi pare che avesse un burnus color dattero. – spiegò - L'ho visto allontanarsi da quella parte." concluse, indicando l'uscita del campo.
“Vieni! – ordinò Selima, con l’accento autoritario che le veniva dalla sua posizione di Favorita del grande capo – Fammi vedere chi ha osato mettere le mani su un gioiello di Se lima!”
L’altra ubbidi.
Al limitare del campo, seduto per terra, la schiena appoggiata contro un vecchio arbusto rinsecchito, sedeva un ragazzo; avvolto in un mantello di almeno due taglie più grandi, volgeva le spalle al campo.

La donna lo indicò da lontano.
"E' lui. Riconosco il suo mantello." disse.
Era Amud, lo strano ragazzo al seguito del vecchio pastore Amin; la capretta che gli era stata donata non era più con lui, però aveva ancora la coperta che gli aveva dato Rashid.
Selima lo sorprese di spalle, che stava gingillandosi col suo gioiello.




"Brutto ladruncolo. - lo assalì; il ragazzo sussultò - Dove hai preso quel gioiello? Dammelo."
Il ragazzo sollevò la fronte e piantò in faccia alla favorita due stupendi occhi azzurri.
"E' mio!" rispose con voce soffocata, balzando in piedi e sottraendosi con uno scatto improvviso alle braccia tese di Selima.
"Dammelo. Brutto ladro cencioso. Dammelo." gli urlò la donna.
Ma Amud fece sparire il medaglione entro le pieghe del mantello poi si guardò intorno e si dette alla fuga.
Pochi metri più a destra c'erano due uomini di guardia al recinto dei cavalli; Amud puntò verso quella direzione.
I due gli vennero incontro, ma il ragazzo, agile come un cerbiatto, deviò la corsa e puntò verso il lato opposto.
Un gruppo di donne, però, gli sbarrò la strada.
Amud si fermò. Si guardò intorno, ma solo per un attimo, come fa l’animale braccato in cerca di una via di scampo. Vide  Selima, che gli veniva incontro con un frustino, le donne che gridavano, gli uomini che ghignavano; c'era perfino un gruppo di bambini che cercava di prenderlo, come in un gioco crudele di cui non conoscevano le conseguenze.
Il ragazzo non si dette per vinto. Proprio all'altro capo del campo vide un varco fra due tende. Correndo a zig-zag verso quella direzione,  riuscì a scansare tutti: donne, bambini ed un gruppetto di uomini.
"Piccolo demonio!" disse un degli uomini ,che si era guadagnato un calcio  negli stinchi.
"Acchiappatelo. Prendetelo." gridavano da ogni parte.
“Ha con sé il mio gioiello… non fatelo scappare.” gridava Se lima,  mettendosi anche lei dietro gli inseguitori.
Il ragazzo sarebbe certamente riuscito ad uscire dal campo, le sue gambe erano leste e leggere come quelle di un'antilope, ma fu il caso a fermarlo: Akim gli comparve davanti all'improvviso e i due ragazzi non riuscirono ad evitare l'urto.
Akim non si era accorto di quella piccola valanga umana e l'altro non era riuscito ad evitarlo. Caddero per terra sulla sabbia soffice che si sollevò schizzando come acqua.
"Allah mi assista!" Amud cercò di rialzarsi.
"Per la furia di Kalì! Chi è questa freccia?" esclamò il piccolo mago indiano.
Troppo tardi per Amud: due, tre, quattro mani si tesero verso di lui; uomini e donne avevano circondato i due ragazzi, semiaccecati dalla sabbia.
“E’ un ladro. – spiegò qualcuno, afferrando il ladruncolo per un braccio – Ha rubato il dono che Rashid ha fatto a Se lima.”
Trascinato di peso, Amud si ritrovò al centro del campo, ma le sue risorse parevano inesauribili: il capo curvo, il respiro affannoso, il ragazzo finse di essere domato, ma di colpo si chinò a raccogliere una manciata di sabbia e la gettò negli occhi del malcapitato che lo aveva preso in consegna. Il residuo di sabbia rimasto nel piccolo pugno, lo fece volare tutt'intorno.
L'uomo cacciò un urlo e lasciò andare la presa; con le mani si teneva gli occhi ed insieme a tutti quelli che avevano avuto uguale sorte, si mise a gareggiare nel più fiorito linguaggio di imprecazioni che l'Islam fosse in grado di offrire.
Amud si ritrovò nuovamente libero e nuovamente ritentò la fuga, ma il cerchio intorno a lui si era fatto inesorabile.


(continua)
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