DUNE ROSSE

DUNE  ROSSE

DUNE ROSSE


Saga appassionante e coinvolgente composta da quattro volumi

DUNE ROSSE - Il Rais dei Kinda
DUNE ROSSE - Fiamme sul Deserto
DUNE ROSSE - Nella tana del cobra
DUNE ROSSE - L'Avvoltoio lasciò il nido (prossimamente)

domenica 31 maggio 2015

IL GIORNO dell SPOSA




.................. 
Il giorno della Sposa ebbe inizio con le prime luci dell'alba. Le donne erano tutte con lei nel piano terra della residenza che il lord inglese aveva stabilito per sé nel Fortino ad est dell'oasi.
Non mancava nessuna e tutte con gli abiti più belli e i gioielli più luccicanti e preziosi. Le più giovani suonavano alud e tandir o danzavano, con grazia e un pizzico di malizia.
  
Spiccava fra le altre la vivacità della piccola Agar cui era stato affidato l’incarico di fare gli onori di casa all’ospite di riguardo, la figlia del professor Schiariti, la bella e deliziosa Victoria.
Le due ragazze avevano subito simpatizzato e Agar stava mostrando alla nuova amica un passo di danza che  le avevano appena insegnato
Sguardo tenero da cerbiatta, fronte ampia e ben modellata su cui irrompeva una cascata di riccioli castano-dorati, labbra morbide e piene, rosse come un fiore di melograno, Victoria era davvero una splendida creatura. Amabile, gentile e sorridente, era per Agar la compagna ideale e un’allieva diligente: stava provando l’ultimo passo di danza quando apparve la sposa.   
   

Letizia comparve avvolta in un ampio mantello bianco e tutte le corsero incontro, la circondarono, l'abbracciarono, la baciarono e poi tornarono ai loro posti a cantare, suonare, danzare e consumare datteri e pasticcini, accompagnando la dolce abbuffata con succhi di frutta e di melone che Alina continuava a portare in splendide caraffe d'argento disposte su grossi vassoi. Avevano preso posto su cuscini, tappeti e stuoie ed apparivano felici e soddisfatte.
Accanto alla sposa erano rimaste solamente in tre e la liberarono subito del mantello poi la fecero sedere su uno sgabello, non prima, però, di averla squadrata da capo a piedi ed aver espresso la loro approvazione con gesti e commenti circa i chili in più che avrebbe dovuto  mettersi addosso per l'occasione nelle ultime settimane.
"Bene, Letizia!... Bene!"  finì per approvare una di loro, sciogliendole i lunghi capelli ed affidando il mantello ad Agar e Victoria che lo tennro sulle braccia come fosse una reliquia.

In verità, l'ansia  dell'attesa aveva reso morbidamente flessuosa la delicata  figura della sposa senza, però, minacciarla di  quella pinguedine che, evidentemente qualcuna di loro si spettava.
Letizia si sottopose di buon grado a quel rito, ma era la prima volta che qualcuno violava la sua intimità e il suo disagio era tutto rannicchiato nello sguardo sfuggente, nel rossore che le copriva il volto e nel tentativo di sottrarsi agli sguardi indulgenti e divertiti delle donne.
"Sei bellissima! - le dicevano - I tuoi fianchi sono morbidi e tondi,  le gambe sono slanciate e perfette e i seni... oh, i seni sono generosi e di bella forma...”
“Faranno la gioia e la delizia del nostro sceicco.. ah.ah..." sorrideva affettuosa la vecchia Alina.
Letizia appariva assorta, immersa nei suoi pensieri poi la lama del rasoio che scivolava leggera sul corpo unto d'olio profumato, la distrasse da ogni segreta riflessione.
Dopo la depilazione seguì il massaggio, sempre tra canti e suoni, infine la inondarono di profumi e la truccarono con l'henné; le furono laccate anche le unghia di mani e piedi.  Lei lasciava fare, incuriosita da tutti quei segni che le coprivano le mani e di cui Alina le spiegava il significato e i simboli.
Passarono ai capelli e tutte sembravano abbagliate dal loro splendore, dal contatto serico e dal delicato profumo di erica,  come ebbe a dire la piccola Agar.
"Ti sei messa in testa una miniera d'oro." continuavano a ripeterle, sinceramente ammirate.
L’allegro brusio di risatine, gridolini ed esclamazioni andava svolgendosi misto a quello ugualmente allegro del tintinnio degli argenti delle brocche e dei vassoi:  bevevano e mangiavano e qualcuna fumava il narghilè, che  diffondeva nell’aria un odore acre e tenue, assieme a quello  di tutti quei giovani corpi profumati ed eccitati.
La mattinata, intanto, era praticamente giunta alla fine e i vassoi erano quasi interamente svuotati e così il contenuto di brocche e teiere.
La sposa era finalmente pronta.

Due donne spalancarono il portone d’ingresso del fortino e la figura della sposa si stagliò nel vano.
Era bellissima e misteriosa.
L’abito bianco di candida organza, lungo e vaporoso, stretta in vita da una cintura dorata,  corpetto aderente e tempestato di perle e preziosi, di chiaro stile vittoriano, era quello che il lord aveva acquistato a Salvahah durante il viaggio di ritorno a Sahab. Sotto l'ampio mantello senza maniche, la gonna era ampia ed impreziosita di splendidi arabeschi e ricami in oro. 
Il velo, trasparentissimo, era anch'esso tempestato di preziosi;  le copriva il capo, scendendo fin sulle spalle, ma  non riusciva a nascondere i bagliori degli splendidi capelli biondi che la principessa Jasmine aveva fatto cospargere di polvere dorata. Solo gli occhi, azzurro-cielo, lucidi e sapientemente truccati, erano scoperti: lo jasmac di trasparentissima mussola che le copriva il volto, ne accresceva fascino e mistero.

Il velo, trasparentissimo, era anch'esso tempestato di preziosi;  le copriva il capo, scendendo fin sulle spalle, ma  non riusciva a nascondere i bagliori degli splendidi capelli biondi che la principessa Jasmine aveva fatto cospargere di polvere dorata. Solo gli occhi, azzurro-cielo, lucidi e sapientemente truccati, erano scoperti: lo jasmac di trasparentissima mussola che le copriva il volto, ne accresceva fascino e mistero.
      
Un'ovazione accolse il suo apparire e tutti  le si fecero incontro. Fu sir Richard, però, il Tutore, a farsi strada fra gli altri e raggiungerla
Reggeva le briglie di uno splendido cavallo di razza araba: bianco e dal lucido pelo raso, criniera intrecciata con nodi e passamanerie, preziosi finimenti ricchi e complessi. Una magnifica bestia.    
Era il cavallo di Harith.

Letizia fu fatta montare in sella e il corteo si mosse, preceduto da canti  e suoni. La folla festante l'accompagnò durante tutto il tragitto e finalmente la sposa raggiunse la casa dello sposo.

NELLE SPIRE della GELOSIA



..............
Letizia, in piedi accanto al letto, osservava il volto del ferito, pallido e madido di sudore: Harith aveva chiuso gli occhi e lei fece l’atto di allontanarsi.
La voce sofferente di lui, però, la trattenne.
“Resta… Non andare, Titty…” e con una mano la trattenne per il polso.
La ragazza si fermò; sentiva su di sé lo sguardo ostile di Jazina.
“Sì, resta!” anche la voce di Alina, la madre di Ibrahim la trattenne – Detergigli il sudore con questo panno.” aggiunse porgendole una pezza di lino.
Letizia prese il panno e con un lembo cominciò a detergere la fronte del ferito. Gli occhi di Jazina la seguivano con ostinazione, mentre Alina accostava alle labbra del giovane una tazza dal liquido incolore, ma dal gusto amaro a giudicare dalla sua smorfia.
“Ti farà sentire meno il dolore, figlio mio.”
Era mandragora e Harith fece un cenno di assenso.
“Bisogna procedere con cautela. – sorrise la donna, in tono rassicurante - Finora è stato proprio il prioiettile a fermare l’emorragia e … Chi ha arrestato l’emorragia?” domandò.
“E’ stato sir Richard.” rispose Letizia.
“L’amico inglese è stato avveduto e accorto. -  disse Alina – Ha praticato davvero un ottimo bendaggio… – si compiacque -… senza troppa pressione,  e è riuscito ad arrestare la perdita di sangue… Adesso bisogna estrarre il proiettile e fare molta attenzione, perché il sangue potrebbe riprendere a fuoriuscire… Dammi una garza, Jazina… una garza… Che cosa fai lì, impalata, ragazza… Dammi una garza.”
Jazina era pallida come un cencio. Immobile al suo fianco, aveva lo sguardo fisso sulla ferita.
“Allah misericordioso! – proruppe la donna – Ti fa impressione il sangue, ragazza?” chiese allungando una mano per prendere da sé una garza dalla cassetta che le conteneva; Jazina tese tutta la cassetta, si voltò e si allontanò di corsa verso l’interno della tenda.
Pulita e disinfettata la ferita, partendo dal margine ed andando verso l’esterno, Alina rimosse delicatamente i lembi di pelle e i tessuti in via di disfacimento, poi indicò il proiettile.
“Il proiettile si è capovolto ed ha lacerato la pelle e il muscolo, – spegò – ma non è andato in profondità… Rimuoverlo sarà un po’ doloroso, ma non difficile.” disse, afferrandolo con la pinzetta che stringeva tra l’indice e il pollice della  mano destra ed asportandolo con un colpo ben deciso.

Occhi chiusi, pallido in volto, la fronte sempre imperlata, il ferito si lasciò pian piano scivolare in un sonno ristoratore; Letizia continuava a detergergli il sudore e con l’altra mano ad accarezzargli con gesto tenero i capelli, anche quelli inzuppati.
Non era più furiosa, ma profondamente triste. Ogni tanto si tormentava il bracciale che lui le aveva regalato e si guardava intorno e guardava il letto su cui egli era disteso... largo, basso e cercava l’impronta di un altro corpo… di un corpo femminile e tornava negli splendidi occhi azzurri quell’ombra di inconsolabile pena.
“Lasciamolo riposare.” disse Alina, che aveva  appena terminato di bendare la ferita; la vecchia Fatma stava raccogliendo garze e bende sporche e portava via il catino d’acqua arrossata. Alina sedette su uno scanno con un gesto di stanchezza e si deterse la fronte con un fazzoletto, Letizia e Zaira raggiunsero l’uscita e si fermarono di fuori.
“Fai del the per Zaira e  Letizia.” ordinò la nutrice di Harith a Jazina.
La ragazza si affrettò ad ubbidire; quando uscì fuori con il vassoio e le tazze da the e la teiera, trovò Letizia da sola.
“Gradisci del the?” chiese.
Un po’ stupita, ma allertata dal tono troppo gentile, Letizia, seduta su una stuoia, sollevò su di lei lo sguardo con un cenno affermativo del capo.
Jazina si chinò, tese in avanti le braccia insolitamente scoperte, se non da una larga fascia d’oro rilucente di piccole pietre preziose, su cui lo sguardo di Letizia andò immediatamente a posarsi.  
“Chi ti ha dato quel bracciale?” domandò e l’altra, con finta noncuranza:
“E’ un regalo di mio marito. – recitò – Lo sceicco Harith.”
“Posso vederlo?”
“E’ molto bello, vero?… Bello e prezioso.”
“Posso vederlo?” ripeté Letizia.
“Certo!”
Il magnifico gioiello passò dal polso dell’una alla mano dell’altra.
“C’è un’incisione, qui.” disse con voce incolore.
“C’è scritto: a Jazina con amore, da Harith.” recitò con sussiego la ragazza – Harith è molto affettuoso e romantico. Lui ti fa sentire… Oh, ma tu lo sai bene, Letizia… Non ha fatto una richiesta di matrimonio anche a te?”
Un senso di profonda amarezza, di incontenibile pena afferrò Letizia a quelle parole; fece seguire un attimo di sbalordito silenzio: l’emozione era così forte che per un attimo, ogni cosa intorno andò come sfocando. Harith le aveva mentito.
Il cuore in petto le dolse come una ferita.
“Harith non ti ha già proposto di sposarlo? – la voce di Jazina, fredda e acuta come lo sguardo, dalle pupille incupite da un non più dissimulato astio, la scaraventò fuori di quel turbinio di emozioni -A quanto dicono, però, tu lo tieni ancora sulle spine… Ti fai ancor rincorrere… - sempre più dura, sempre più ostile la voce di Jazina -  Sai, Letizia… in fondo fai bene a rifletterci sopra… Tu sei El KhatunE’ così che ti ha chiamata quel beduino che avete raccolto con la famiglia nel deserto… El Khatun… Tu non sei come noi… No! E bevi… bevi il tuo the, Letizia… - la voce di Jazina, adesso, era astiosa, il sembiante, visibilmente  perfido - Tu sei diversa da noi… a cominciare da questi capelli… e tutto il resto. Non vedi come ti guardano tutti appena ti lasci scivolare un lembo del velo…Sei una tentazione per tutti e… prima o poi potrebbe succedere qualcosa e… Sì! Hai fatto bene a startene lontana da Harith e … ancora meglio faresti, mia cara, ad andartene lontano da qui. – Letizia ascoltava  - Aspetti qualcuno che ti porti via, vero?… Ho sentito di una sorella… Sarebbe una buona cosa per tutti…”
“Hai detto bene, Jazina. – l’interruppe infine Letizia, alzandosi e lasciando la stuoia; qualcosa più forte dell’amore, forse l’amore ferito, le dilatò e le incupì le pupille azzurre - Io non sono come voi. Soprattutto non sono come te, Jazina. Tieniti pure una promessa d’amore a scadenza se questo ti basta… Una Muta’a… Il contratto di un anno che ti lega ad Harith… E’ questa la promessa d’amore che ti lega a lui?”
“Ah.ah.ah… - rise l’altra, sarcastica e provocatoria, poi aggiunse, sibillina - Non immagini, Letizia, quante cose possono accadere in un anno.”
“Farlo innamorare di te?  E’ in questo che speri?”
“Un figlio, Letizia. Nessun uomo al mondo manda via la madre di suo figlio.”
“Suo figlio?” illividì Letizia.
Le parole le rimbombarono nel cervello. Un figlio! Un figlio di Harith e Jazina! E le apparve, nella luce opaca del pomeriggio inoltrato, la visione insultante dei loro corpi nudi, affondati nel letto ampio, grande in cui adesso Harith riposava tranquillo… la visione amara e mortificante del loro possesso. Si sentì gelare il sangue nelle vene e arrestare il battito del cuore, come se stesse agonizzando.
Si scosse. Non era da lei. Gelosa?.. La stolta gelosia della donna che spasima e si dispera. No! Non era da lei. Senza una parola volse le spalle alla ragazza e rientrò nella tenda.
“Alina è tornata a casa sua. – la vecchia Fatma s’affacciò sull’uscio e si scostò per lasciarla entrare – Ripasserà più tardi per vedere come sta Harith.” disse.
Letizia non rispose; si accostò al grande letto in cui Harith riposava tranquillo, si sfilò dal polso il prezioso bracciale e lo posò sul cuscino, poi lasciò la tenda.

(continua)
brano tratto da "DUNE ROSSE - Nella tana del cobra"
di Maria  PACE

presto su  AMAZON

DI RITORNO...


................ 
Il sole si mostrò ben presto non più alleato degli uomini. Il gruppetto avanzava in uno scenario arso dalla siccità, chiuso in un orizzonte monotono, simile all’ondeggiare di un oceano rosso.
Harith cavalcava al fianco di Letizia. Nessuno dei due parlava, ma la ragazza sentiva su di sé lo sguardo di lui, carezzevole e tenero. Come erano sempre i suoi sguardi. Uno sguardo,  però, che la irritò.
Ma non era irritata con lui, bensì con se stessa.  Distolse lo sguardo da lui, facendolo convergere sulla donna del beduino che avevano soccorso: anche lei la stava guardando.
Sì, era proprio irritata. Debole e vulnerabile. Ecco com’era, si diceva. Eppure aveva giurato a se stessa che non avrebbe mai permesso a qualcuno di farle ancora del male e invece, eccola in balia di un sentimento onnipotente ed indomabile.
Sciocca, illusa ragazza che aveva creduto di avvincere alla propria vita, impadronirsi,  trattenere con la sua inesperta passionalità un uomo come lo sceicco di Sahab… Sciocca, illusa ragazza arrivata da lontano, incapace di contrastare le segrete, sapienti insidie  amorose di donne come Jazina, che nascondevano fascini segreti e pratiche amorose capaci di conquistare un uomo.  Fascini e pratiche che lei non conosceva, al contrario delle donne di quelle terre, il cui scopo di vita era soltanto quello di soddisfare il piacere di un uomo. Fascini e pratiche che Jazina doveva aver esercitato, se era riuscita ad allontanarlo da lei e farsi sposare.
“Guarda laggiù, Letizia. - Harith ruppe il silenzio – Guarda. “ disse, sollevando un braccio ed indicando due splendidi esemplari di aquile comparse d’improssivo nel cielo sopra le loro teste.
Letizia si girò verso di lui e fu allora che vide la macchia rossa sulla sua spalla sinistra.
“Ma tu… tu sei ferito, Harith?” proruppe tendendo la mano verso di lui.
Si girarono tutti e tutti videro la macchia di sangue che s’andava allargando all’altezza della spalla e solo allora parvero far caso al pallore che ricopriva il volto del giovane.
“Una di quella pllottole ha trovato il suo bersaglio… ah.ah.ah…” fece egli con un sorriso forzato.
L’espressione sofferente e il pallore comparso sul bel volto, Harith si lasciò andare in avanti fin quasi a sfiorare il collo dell’animale. Ma si rialzò. Ancora col sorriso.
Sir Richard per primo gli si accostò, per prendere le redini che gli erano sfuggite di mano. Osservò da vicino la spalla sanguinante dell’amico, poi si tolse il fazzolettone color tabacco che sempre portava al collo e con quello tamponò la ferita,  non prima di aver fatto pressione tra ascella e collo per controllare il sanguinamento.
“Bisogna tornare mmediatamente  a Sahab – disse – Il tempo non è amico  in questi frangenti… La ferita non sembra profonda, ma il proiettile deve essere ancora dentro.“ si schiarì la voce e premette con le mani sul tampone fino a che non vide il sangue arrestarsi; gli altri lo guardavano in silenzio. Quando fu certo che non sanguinasse più, sir Richard si tolse il cordone che gli tratteneva il mindil sul capo e con quello tenne stretto il tampone sulla ferita, senza però, premere troppo, per evitare che la pallottola penetrasse ancor più all’interno. Quand’ebbe finito,
“Oh. Oh!” incitò il cavallo e lo lanciò al galoppo, sempre reggendo le briglie del cavallo dell’amico e sempre seguito dagli altri.
Furono in vista di Sahab pochi minuti più tardi.


sabato 30 maggio 2015

LA BARRIERA di CORALLO



... 
Proprio mentre l'acqua gli si ricongiungeva sopra la testa, il lord si sorprese in qualche considerazione.
"Se l'uomo non avesse ubbidito alla Natura che lo vuole più rettile che anfibio, - stava pensando, guardandosi intorno -  ora io non sarei qui a sprofondare in questa immensità di meraviglie nascoste. .. Chissà! Forse un giorno gli uomini potranno davvero muoversi nel mare come sulla terra nei modi fantastici raccontati da quel francese... Per tutte le balene! Come si chiama?... Ah, sì! Verne...Si chiama Verne.."
Si girò in direzione del compagno che nuotava accanto a lui e  con una mano gli indicava qualcosa.
Alzò il capo: una nuvola d'argento e fosforescente oscurava la luce che filtrava debole. Era un branco di minuscole meduse con ombrella semisferica: condido ventre per sfuggire ai predatori dall'alto e dorso scuro per sfuggire a quelli dal basso. Era tempo di migrazione.
Cinque o sei metri.
Davanti a lui, Akim guizzava come un pesce.
Era sorprendente quel ragazzo, pensava: acqua e sabbia parevano essegli congeniali in egual  misura.
Otto. Nove. Dieci metri.
"Quante similitudini nell'esistenza dell'uomo - si sorprese ancora a riflettere - L'amico Ashraf manovra il suo sambuq come  l'amico Harith spinge il suo cammello... Mare e deserto! E il mal di mare?... Gli uomini di Rashid stanno ritti sulle barche senza accusare malesseri di sorta...  proprio come su un cammello.... Affidate la carovana ad un carovaniere e questi  la guiderà orientandosi con il sole, come il capitano di questo sambuq fa con le stelle..."
Intorno a lui, intanto, la natura esplodeva inimmaginabile. Era la scogliera corallina. Una catena di scogli che si sporgeva dal fondo per emergere come guglie di cattedrali o  restare nascosta a pelo d'acqua.
Quindici metri.
Per Akim era un'autentica  scoperta; con lo sguardo incredulo di chi, però, conosce il miraggio, il ragazzo tendeva il braccio verso tutto ciò che lo sfiorava.  Accanto a  lui e con lui, tra le punte più alte dei lunghissimi bracci di corallo rosso, nuotava un'infinità di specie di pesci di colore e pinna diversa;  più giù, a strapiombo sotto di loro, la roccia s'inabissava per decine di metri, custode gelosa di altri ricchi tesori.
Vide Ashraf puntare deciso verso un grosso ramo di corallo dal colore giallastro: qualcosa doveva aver attirato la  sua attenzione.
Akim si attardò un attimo, incantato da una spinosa stella marina che stava compiendo la sua opera distruttrice sulla struttura fine, delicata e vagamente liberty-rococò di una stupenda madrepora azzurra, poi entrambi raggiunsero Ashraf, seguiti dal guizzo dei pesci che rosicchiavano intorno alla roccia.
Ashraf aveva staccato qualcosa dal ramo di corallo, contendendolo ad un grosso pesce: era una catena d'oro.
I due gli si accostarono.
Akim sfiorò un ramo del corallo e si stupì non sentendosi pungere. Al contrario, lo trovò piuttosto morbido. Vinse la tentazione di coglierne un ramo. Sir Richard, invece, non ci riuscì e con uno strappo energico ne portò via un ramoscello poi, muovendosi senza peso ed a ridosso di quella roccia,  si accostò ad Ashraf che gli tese la catena indicando la superficie sopra le loro teste.
Risalirono, nell'assoluto silenzio di quella giungla d’inimitabile fantasia, rossa e gialla ed a tratti interrotta dall'azzurro della madrepora. Provando quella serenità mista ad ebrezza che la natura inviolata è capace di donare all'uomo, i tre cominciarono la risalita.

Man mano che procedevano, i colori si accendevano:  rosso, arancio e giallo sempre più smaglianti, blu e verde, sempre più pallidi.

Il primo a riemergere fu Ashraf, guidato dalla chiglia, sia pur confusa, del sambuq poi riemersero anche le teste di Akim e sir Richard; le altre due barche erano già al posto convenuto.

( continua)

brano tratto da  DUNE ROSSE - Nella tana del cobra

di Maria PACE
da richiedere con dedica personalizzata direttamente a  mariapace2010@gmail.com

IL VELIERO -FANTASMA



........
Pochi metri dalla superficie e l'onda si delineò chiara, sopra la testa; poche bracciate e i due riemersero scuotendosi l'acqua di dosso.
Il primo a salire sulla barca fu Ashraf che tese subito le mani verso di lui, ancora in acqua.
Sir Richard sollevò il capo. Vide Asada, ritta in piedi al fianco del ragazzo; fece l'atto di porgerle la parola, ma l'espressione terrorizzata dipinta sul volto della donna lo fermò, costringendolo a dirottare lo sguardo nella direzione in cui era puntato quello di lei:  nord-est dell'isola corallina, verso cui un banco di nebbia stava correndo veloce.
"Per tutte le balene dell'Oceano!  -  proruppe aguzzando la vista - Per tutte le balene dell'Oceano! - ripeté - Ma... ma che cos'è quella... quella..."
Un'enorme vela nera era  apparsa come d'incanto in mezzo al banco di nebbia e subito dopo anche il pennone cui era legata e infine l'intero albero maestro di una nave.  Una candida figura  spiccava, legata ai piedi del pennone su cui svolazzava una bandiera nera issata a lutto. A mezz'asta.
Sotto il suo sguardo stupefatto dell’inglese, il banco di nebbia andò spostandosi sulla destra mettendo a nudo la sagoma di  un veliero cupo e tenebroso,  completamente dipinto di nero.
"Il Veliero Fantasma!  -  andava ripetendo, la donna, terrorizzata - E' la terza volta che appare in questi ultimi giorni. La nebbia lo protegge e lo nasconde…. La nebbia lo protegge e lo nasconde.”
"Ma che cos'è?... Che cos'é quella sinistra apparizione?" domandò sempre più stupefatto il lord.
"Il Veliero Fantasma! Che Allah ci protegga! - anche Ashraf, lo sguardo incollato sulla cupa apparizione, mostrava segni di nervosismo - Ai remi! Fuggiamo. Fuggiamo via da qui. Presto!" sollecitava.
"Un momento! - il lord fissava come ipnotizzato la sinistra apparizione; da  buon scozzese non dava del tutto scredito al fantastico e quel veliero tutto nero, fantastico lo era  per davvero - Lasciatemi dare un'occhiata più da vicino  a quel.... qualunque cosa sia!"
"E' il Veliero Fantasma! - proruppe per la terza volta la donna - Porta sfortuna a tutti quelli che si mettono sulla sua rotta."
"La sua rotta? - replicò il lord - Quella grossa barca nera come la pece sembra andare alla deriva… senza guida e alla mercé delle correnti."
"No! No! - la donna appariva davvero terrorizzata e continuava a toccarsi la fronte e il petto con segni di scongiuro - I fantasmi spingono quelle vele."
"C'è una figura legata all'albero maestro... una figura di donna, mi pare. -  il lord mise a fuoco lo sguardo -  Per Giove! A me pare di ravvisare qualcosa di familiare in quella figura... Presto! Avviciniamoci. Presto.!
"Avvicinarci? - fece eco Ashraf con aria stralunata - Ma che cosa dici, sahib? Quella nave è governata dai fantasmi dei marinai che l'hanno guidata un tempo per questi mari.... Dicono che fossero pirati... ancor più pericolosi da spiriti che da vivi.... Nessuno di quelli che hanno avuto l'ardire di avvicinarsi troppo o la disgrazia di mettersi sulla sua rotta è riuscito più ad allontanarsi da..."
"Pirati o fantasmi, - il lord pose fine alle farneticanti parole del ragazzo - se c'é un mistero, voglio vederlo da vicino." scandì con accento che non ammetteva repliche e dette di piglio ai remi, puntando deciso in direzione della lugubre apparizione; i due lo lasciarono fare, muti dal terrore.

Si portarono a poche decine di metri dal veliero.
Da vicino era ancora più cupo e spettrale.  Ancora più misterioso che a prima vista. Pareva essere uscito da un tremenda tempesta di mare: le vele nere erano a brandelli e gli alberi spezzati, ad eccezione dell'albero maestro su cui sventolava sinistra la bandiera a lutto.
Legata  al palo, proprio sotto di esso, c'era una figura di donna, chiara e distinta. La testa era reclinata sul petto e le mani erano legate dietro la schiena; le vesti, che recavano il ricordo di un passato splendore, erano appena mosse dalla brezza.
Ancora qualche colpo di remo, ancora qualche braccio più vicino, tanto da  vedere la massa dei capelli, nerissimi e spioventi in avanti, muoversi al monotono rollio della nave. L'acqua sciabordava contro la fiancata, spumosa e bianca.
Sir Richard fermò la barca.
A bordo della nave non c'era alcun segno di vita, all'infuori dell'inquietante presenza di quella figura di donna legata al palo. Un colpo di vento le scostò i capelli mettendo in mostra un volto di straordinaria bellezza che strappò al lord un'esclamazione di soffocato stupore:
"Jasmine!...  - proruppe  - La donna legata all'albero maestro di quella maledetta nave è la principessa Jasmine... Dobbiamo soccorrela... Presto... Presto!"
"No! No, sahib! - implorava Asada alle sue spalle - Sono due anni che quel veliero naviga su questi mari. Non è la principessa Jasmine... L’infelice legata a quel palo non è la principessa Jasmine..."
"Due anni? - trasecolò il lord; i piedi parvero radificare sul fondo della barca  - Non è possibile! Solo un mese fa la principessa era a Sahab, felice e piena di vita."
"Quella che hai scambiato per la principessa Jasmine, sahib, è solo un'immagine della tua fantasia. Presto scomparirà e con..."
La donna non riuscì a portare a termine la replica: il banco di nebbia tornò a muoversi, inquieto, sul mare e inghiottì il veliero. Quando, pochi attimi dopo, si staccò dall'isola, del veliero non c'era più traccia.
"Hai visto? I fantasmi che governano quella nave maledetta hanno attirato la nebbia per nascondersi."
Il lord non replicò ma, considerato lo stato della donna, reputò opportuno tornare indietro: troppe emozioni per la povera Asada in un sol giorno.
“Tranquilla, signora. Tranquilla. – cercò di rassicurarla con un aperto sorriso – Anche il mistero più profondo e sconcertante più attendere.. Il mistero del Velierro Fantasma avrà la sua soluzione… ma non sarà oggi. Torniamo a terra… Torniamo a terra.”
Con Ashraf virò di bordo e puntò la prua verso riva ed entrambi presero a remare con vigore; alle loro spalle, due inconfondibili, minacciose pinne di squalo.

(continua)

brano tratto da    "UN ROSSE  -  Nella tana del cobra"

di Maria  PACE
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IL MEDAGLIONE




"Allah ti sta già aiutando, amico mio. -  disse semplicemente, poi, al cenno di diniego dell'uomo - Sono per il bimbo che nascerà e per sua madre."

Più tardi, mentre l'unguento agiva sul ferito facendolo scivolare in un sonno ristoratore, Asada si accostò al grande predone: nella piccola mano bruna spiccava la perla di Ashraf.
"Se sarà un bimbo gli daremo il tuo nome, sahib e se sarà una femmina avrà il nome di colei che è favorita nel tuo cuore ed io sarò debitrice di questa perla con Ashraf fino a quando non ne avrò pescata un'altra. - Asada si interruppe: aveva scorto sul bel volto del rais una espressione di profonda tristezza, tuttavia riprese - Questa perla, insanguinata con il sangue del mio uomo,  è segno della benevolenza di Allah, che ha condotto amici generosi nella sua casa modesta."
"Stai parlando con Rashid, il rais di Ar-Rimal, sorella mia." interloquì con sussiego il giovane Ashraf.
"Sono soltanto un uomo infelice. - gli occhi di Rashid bruciavano come carbone ardenti - La mia donna è stata rapita ed è da due mesi che noi stiamo inseguendo i rapitori. - spiegò - E vi siamo grati di questa ospitalità."
"Prendi la perla, allora. - lo sorprese Asada - Forse sanguinerà ancora, ma sono certa che ti porterà fortuna come ha fatto con noi e donala alla tua donna... - un attimo di esitazione -... quando l'avrai ritrovata... insieme a questo gioiello. -  aggiunse con un  sorriso quasi  di scusa -  Volevo farne dono alla sposa di Asfraf per le sue nozze, ma il mare è uno scrigno tanto grande e ricco di cose preziose... Troverò qualcosa d'altro  per lei."
Rashid tese la mano verso il medaglione, ignorando completamente la perla: era improvvisametne impallidito.
"Dove lo hai trovato?" domandò, visibilmente sconvolto.
"Tra i rami di un corallo." spiegò la donna.
"Quando?" incalzò il rais.
"Solo qualche ora prima del vostro arrivo. - spiegò lei - Ma... tu mi sembri turbato, sahib..."
Rashid non la lasciò finire.
"Questo medaglione appartiene alla mia donna. Io stesso gliel'ho donato. C'é il suo ritratto custodito all'interno ed io solo possiedo la chiave per aprirlo."

Harith e sir Richard si precipitarono per guardare il prezioso gioiello e lo stesso fecero Amina ed Ashraf, poi Rashid impugnò la minuscola chiave che portava legata al collo e l'aprì.
Il medaglione passò di mano in mano prima di tornare in quelle di Rashid.
"La principessa Jasmine! - esclamò Ashraf - E'  il ritratto della principessa Jasmine, vero, sahib?... Guarda... guarda anche tu, Amina."
"E' bellissima!" esclamarono insieme i due giovani.
Amina passò il ritratto ad Asada, che lo rese al grande predone di Ar-Rimal.
"Sapresti tornare nel luogo dove l'hai trovato?" domandò sir Richard.
"Certo! - rispose la giovane - Sono pronta ad accompagnarvi anche subito."
"Scenderò io sott'acqua. -  si offrì il giovane Ashraf  -Tu ci   indicherai il posto... se loro - indicò gli ospiti - sono in grado di stare in acqua come in terra."
"Sappiamo nuotare. -  lo rassicurò il rais ed allo sguardo di stupore comparso sul volto del ragazzo - Lui è inglese. - spiegò, mentre continuava a contemplare con animo tormentato lo stupendo volto che gli sorrideva dal medaglione e fu  proprio  nell'atto di portarselo alle labbra che fece la sconvolgente scoperta - Per Allah!... – proruppe in preda ad incontenibile emozione – Questo… questo non è il volto della mia Jasmine...  Jasmine ha gli occhi azzurri e la sua fronte è pura e senza nei..."
Sir Richard gli strappò quasi di mano il gioiello e lo fissò con estrema attenzione:  il colore degli occhi della ragazza che sorrideva dal ritratto erano neri come l'ebano   e  d'ebano ramato era il colore dei capelli e non castano dorato come quelli della principessa Jasmine. E quel grande neo sulla fronte, che rendeva così misterioso lo sguardo della ragazza che sorrideva  dal medaglione, Jasmine non lo aveva.   Non lo aveva mai avuto.
Era sull'angolo destro del mento, che Jasmine esibiva un segno di distinzione: una minuscola voglia dalla vaga forma di stella.
"Questo non  è il ritratto della principessa Jasmine!" anche  il lord inglese confermò.
"Per la misericordia di Allah! E' proprio vero! Questa non è la principessa Jasmine" convenne lo sceicco Harith quando anch'egli ebbe il medaglione fra le mani.
"Per tutte le balene dell'Oceano! -  proruppe ancora l'inglese, accantonando la proverbiale flemma - Tutto questo ci pone davanti ad un enigma da risolvere... Se la tua  chiave ha aperto questo medaglione, Rashid, amico mio... questo che abbiamo davanti deve essere proprio il medaglione della principessa Jasmine..."
"… ma il ritratto non è della mia Jasmine!"  insistette cupo il rais.
"Sì! -  ripeté l’inglese accompagnando il monosillabo con ripetuti cenni del capo - Abbiamo proprio un mistero da scoprire."
"Una cosa è certa. -   continuò sempre più  cupo  Rashid – La presenza del medaglione in queste acque prova che Hakam si nasconde proprio da queste parti e  che Jasmine si trova con lui!"

 (continua)

brano tratto da   "DUNE ROSSE - Nella tana del cobra"

di Maria PACE

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venerdì 22 maggio 2015

TURNO di GUARDIA

...

..........
Da oriente l'ultimo sprazzo di luce stava dileguandosi. Consumata una breve cena, stabilirono i turni di guardia. Al lord toccò il primo, gli altri si infilarono sotto le coperte con le armi pronte all'uso.
Sir Richard sedette contro un tronco di palma; il fucile, palla in canna, appoggiato al fianco e il pugnale tra le gambe. Guardava il cielo sopra la testa.
L'aria era tersa, quasi chiara; si sollevava dalle sabbie come una grande nuvola; sull'oasi, però, il cielo pesava come una cappa di piombo. Il contrasto tra l'iridescenza delle sabbie e il buio dell'oasi era assai suggestivo: parevano paesaggi di due pianeti diversi. Su tutto, però, pesava il silenzio. Un silenzio minaccioso che neppure il verso di animali notturni riusciva a spezzare: nel deserto solo di rado gli animali hanno voce!
Il giovane di tanto in tanto si girava a guardare gli amici che riposavano, ma non li sentiva russare: nessuno di loro dormiva. Le mani tese verso il fuoco, il lord proiettava la sua ombra alle spalle. Completamente infagottato nel suo bianco mantello pareva un fantasma.
Forte personalità, coraggioso, camaleontico ed instancabile, sir Richard era un viaggiatore e pensava come un viaggiatore: in momenti di solitudine come quello, si faceva compagnia con tutti i fantasmi lasciati alle spalle. Figure belle o grottesche, terribili o piacevoli, buffe o seriose… la testa ne era affollata e per liberarsene non restava che lasciarli passare davanti. Uno ad uno. Per primo passò Alì Buker, incontrato al mercato di Tangeri, bellissimo mulatto, bello quasi quanto una ragazza. Svanì subito, però, per lasciar passare quel fantasma di … No! Non aveva mai saputo il suo nome, solo che sarebbe rimasto per sempre nella sua mente, tanto misterioso e particolare era il suo aspetto: avvolto in un candido burnus, pallido come un morto, pareva davvero un fantasma… Passò subito anche lui e venne avanti il volto bellissimo di Amina… Oh, di lei ricordava benissimo il nome. Quando passava davanti al Club del Golf, in Giordania, posto riservato a pochi privilegiati, attirava sguardi sbarrati e restituiva occhiate sfavillanti… Un volto bellissimo, poiché lei, claustrata in quell’ampio rettangolo di stoffa che ne mortificava la femminilità, altro non mostrava. Ma era davvero bellissima… così bella da giustificare quasi l’abuso di quella “prigione”, come egli lo chiamava: il velo.
“Il velo – asseriva la gente di quelle terre – è una difesa contro i desideri illeciti degli uomini.”
Lui, naturalmente, non approvava… poi anche quegli occhi neri e sfavillanti passarono.
Come tutti i viaggiatori, anch’egli, lontano dai luoghi visitati, vedeva infiammarsi immaginazione e fantasia: la lontananza accende i desideri.
Inaspettato, in quella processione di facce e figure, s’inserì imperioso il volto di Zaira, la bella figlia del saggio El-Kerim: il volto dai lineamenti delicati ma dall’espressione ardita, il velluto
della pelle, il nero intenso degli occhi e di colpo, un misterioso fulgore gli invase l’animo.

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venerdì 1 maggio 2015

IL RITO del CAFFE'


  

L'interno della tenda, dalle pareti completamente tappezzate di ogni tipo di arma, dai fucili ai pugnali, dalle carabine alle scimitarre, si estendeva più per lunghezza che per larghezza. Era diviso da un telone in due parti; la prima, comunicante con l'esterno e riservata agli uomini, serviva per ricevere gli ospiti; la seconda era riservata alle donne ed un profumo di caffè proveniva da quella parte.
Il caffè, però, doveva essere la conclusione di un banchetto che le donne avevano già preparato. Sulla tovaglia bianca stesa per terra, infatti, posavano vassoi stracolmi di cibo: un segno di riguardo verso l'ospite.
Terminate le abluzioni, sostituiti gli abiti impolverati, sedettero tutti sulla grande stuoia e il pranzo ebbe inizio, servito da due giovani donne; l'allegro coro di voci femminili proveniente da dietro il telone, andò infittendosi sempre più.
Finalmente venne servito il caffè.

Era un vero rito. Riuniva gli amici ed era pretesto per scambio di notizie, opinioni, consigli e preghiere.
Per essere perfetto bisognava che fosse: nero come la notte, caldo come il sole e dolce come l'amore!
La tostatura veniva fatta al momento ed i chicchi erano ridotti in finissima polvere in uno staio di ottone; solo così, acquistava quel profumo inimitabile. Onde evitare che fondi di polvere potessero trovarsi nella tazza, soprattutto in quella di un ospite, una volta giunto ad ebollizione veniva lasciato depositare per essere poi travasato in un'altra caffettiera. A questo punto, dopo averlo riportato ad alta temperatura ed aromatizzato con spezie varie, il caffè era pronto per essere servito.
       
La più grande virtù del beduino, dopo l'ospitalità, è sempre stata la parsimonia, ma, quando il caso gliene offre l'occasione, il parco figlio del deserto sa trasformarsi in un ricco Epulone e festeggiare il ricco bottino della razzia era sicuramente una buona occasione per gli abitanti di Sahab.
Avvolte nei coloratissimi feradje, mantello simile alla toga, le donne preparavano dolci e focacce. Era l'abbigliamento delle grandi occasioni per le donne maritate; le giovani, il volto maliziosamente nascosto dallo jasmac, braccia e caviglie cariche di gioielli, danzavano e cantavano. La donna del deserto, più libera ed indipendente di qualunque altra donna musulmana, portava il velo solo nelle feste, quasi per civetteria.
La festa ebbe inizio e la gente di Sahab si abbandonò alla frenesia: canti e musiche ed interi capretti annaffiati di tec e divorati sulle note di ballate di eroi di tempi lontani.
La storia più richiesta era quella di Fatima, la fanciulla contesa dai capi di molte tribù e quella di due giovani, Cadem e Jezabel, che avevano scelto la morte per non vivere separati. Ma c'erano altre canzoni, come quella del cavallo Dahis, che aveva trascinato in guerra molte tribù. Quei canti enumeravano, uno ad uno i pozzi, le oasi e i magri pascoli che avevano visto le gesta di antichi eroi. Seduto di fronte al deserto, sir Richard, il biondo principe delle sabbie, ascoltava quei canti e pensava agli eroi di mitiche imprese conosciuti nelle letture giovanili. Pensava all'intrepido Giasone ed alla conquista del Vello d'Oro; all'ingegnoso Odisseo ed al suo cavallo di Troia; all'irrequieto Alessandro Magno ed al suo Nodo. Ma pensava anche allo sceicco arabo Imru-l-Qais ed al suo sogno di riscossa e pensava a Rashid e ad Harith, ad Ibrahim e ad Aziz. Pensava che anch’essi erano eroi. Eroi di un mondo più vicino. Eroi di un mondo che sarebbe rimasto inutilizzato e morto senza di loro. Eroi di un luogo dove anche un cespuglio spinoso poteva trasformarsi in latte, carne e lana.
Lui, il biondo principe delle sabbie, che aveva buttato via il cappello per coprirsi il capo col largo telo bianco dei beduini, nonostante le grandi e numerose differenze, diffidenze e incomprensioni, si sentiva simile a loro. Uno di loro. E come uno di loro, attese le danze, che giunsero dopo i canti.
La "danza delle spade" fu la più spettacolare
continua)

brano tratto da "DUNE ROSSE - Il Rais dei Kinda

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